Un saluto al pubblico di Parma da parte del regista Edoardo Morabito:
L’unica cosa che mi viene da dire è: ho fatto un sogno e ho cercato di filmarlo.
Ma
sarebbe troppo breve, così dirò anche qualcos’altro, per ringraziarVi
di essere qui a vedere un documentario: questo genere di film fantasma
fatto da “fantasmi”, entrambi impossibili da vedere, in Italia.
Quello
che vedrete è un film documentario, appunto, non un film documentale. I
fatti, i temi e le contingenze storiche, rappresentano esclusivamente
la materia viva con cui ho tentato di ricondurmi a un senso che spero
sempre sia “altro”. Altro da me, altro dalla storia, altro dal film. I
film dovrebbero filmare l’invisibile, muoversi nel territorio
prelinguistico, disattendere tutte le aspettative. Questo per me è stato
“San Berillo”: un ricordo sognato, un desiderio immaginato, un futuro
dismesso.
Non
ho cercato di raccontare la storia di un quartiere con la linearità di
una narrazione logica, che è san Berillo ma potrebbe essere uno dei
tanti quartieri popolari della vecchia Europa; o lo specchio di un paese
in declino che arranca tra macerie e nostalgie; o ancora la ricerca di
senso delle nostre città che sono diventate la forma del nostro
disagio: disumane, consumate, oggetto anch’esse della nostra
irredimibile condizione di consumatori che tutto flagellano al loro
passaggio, così, per puro divertimento o pura noia o pura ignoranza). Ma
ho tentato di ascoltare le pietre, le insegne residue delle vecchie
attività dismesse da decenni e ancora aggrappate ai cornicioni delle
porte spesso murate; ho cercato le storie nei numeri civici senza alcuna
corrispondenza, aggrappati a pareti restate in piedi solo per metà, tra
i segni residui della vecchia città, e tutto questo non per fare una
ricostruzione storica, ma per assecondare una serie di ossessioni
personali. Ogni film è un’autobiografia, come diceva qualcuno. E ogni
pietra ha una storia da raccontare, se solo riusciamo ad osservare e
ascoltare, magari lasciando a casa, solo per il tempo della passeggiata,
il nostro inseparabile iphone. Osservare è un inclinazione
caratteriale, senza dubbio, ma bisognerebbe anche provare ad
alimentarla, alimentare la nostra curiosità e l’amore per l’amore. Ecco
che le cose apparirebbero diversamente. “L’occhio non vede ciò che
vede”. O ancora: “l’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose”.
Ma,
come dicevo, questo non è un film documentale, non vuole ricostruire
niente, né tanto meno dimostrare o affermare altro dalla propria
esistenza in quanto opera di artigianato linguistico.
Il
presupposto del film è che la memoria non esiste e la storia non si può
raccontare, se non per piccole schegge impazzite che non custodiscono
nessuna verità, ma, come se la memoria stessa dell’uomo fosse un
organismo vivente, un tutt’uno con le leggi fisiche che regolano
l’universo, ogni scheggia è la rappresentazione illogica di un senso che
cerchiamo disperatamente di ricostruire. Chissà perché poi...sarebbe
più semplice credere in un Dio, uno qualunque.
Abbandonarsi
dunque. Abbandonarsi al disordine per tentare di mettere ordine, anche
se il risultato naturalmente non cambia: il disordine è il presupposto e
il disordine è il risultato.
Ma
questo non è neanche un film sulla prostituzione, né tanto meno sulle
“questioni di genere”. Se proprio deve essere di qualcuno, questo film è
degli ultimi, degli umiliati e offesi, di chi subisce la storia e non
ne è mai partecipe. Di quello iato di senso nascosto sotto le cartacce
che quotidianamente calpestiamo per strada, dietro gli occhi del più
fastidioso dei venditori ambulanti, elemosiniere o lava vetri, e che
rappresenta la nostra coscienza di borghesi annoiati e indifferenti. San
Berillo è una finestra su un universo, detto senza alcun romanticismo,
in cui ho trovato più umanità che nelle nostre strade affollate del
centro, nei locali dei nostri aperitivi, nelle sedi di partito e nei
tempi innalzati a Dio. Un umanità fatta di dolore, astio, speranze,
illusioni e amori immaginari, dove la mancanza di “morale”, intendendo
quella comunemente condivisa e accettata, riesce a tingere di bellezza
persino un volto violentato dal tempo, dal dolore o dalle prime
operazioni al silicone. Ma San Berillo non è neanche questo.
San
Berillo è un luogo della fantasia; un non luogo nella realtà
irrappresentabile; un cimitero di storia e cultura e il ventre da cui è
generato il segno smarrito del mondo antico che risuona, tra il rombo di
un motorino e l’altro, attraverso i secoli. E i suoi fantasmi ci
sognano, a noi che siamo gli spettatori-attori ad occhi chiusi di un
dramma in atto unico: il vuoto, l’oblio, l’incessante ripetersi del
tutto che non ha mai una forma definitiva, ma vive in queste storie che
tracciano, dolorose e ironiche, una continuità tra un passato
idealizzato e un presente da ristrutturare.
Un caro saluto
Edoardo Morabito