mercoledì 19 novembre 2014

Un saluto al pubblico di Parma da parte del regista Edoardo Morabito:
 
L’unica cosa che mi viene da dire è: ho fatto un sogno e ho cercato di filmarlo.
Ma sarebbe troppo breve, così dirò anche qualcos’altro, per ringraziarVi di essere qui a vedere un documentario: questo genere di film fantasma fatto da “fantasmi”, entrambi impossibili da vedere, in Italia.
Quello che vedrete è un film documentario, appunto, non un film documentale. I fatti, i temi e le contingenze storiche, rappresentano esclusivamente la materia viva con cui ho tentato di ricondurmi a un senso che spero sempre sia “altro”. Altro da me, altro dalla storia, altro dal film. I film dovrebbero filmare l’invisibile, muoversi nel territorio prelinguistico, disattendere tutte le aspettative. Questo per me è stato “San Berillo”: un ricordo sognato, un desiderio immaginato, un futuro dismesso. 
Non ho cercato di raccontare la storia di un quartiere con la linearità di una narrazione logica, che è san Berillo ma potrebbe essere uno dei tanti quartieri popolari della vecchia Europa; o lo specchio di un paese in declino che arranca tra macerie e nostalgie; o ancora  la ricerca di senso delle nostre città che sono diventate la forma del nostro disagio: disumane, consumate, oggetto anch’esse della nostra irredimibile condizione di consumatori che tutto flagellano al loro passaggio, così, per puro divertimento o pura noia o pura ignoranza). Ma ho tentato di ascoltare le pietre, le insegne residue delle vecchie attività dismesse da decenni e ancora aggrappate ai cornicioni delle porte spesso murate; ho cercato le storie nei numeri civici senza alcuna corrispondenza, aggrappati a pareti restate in piedi solo per metà, tra i segni residui della vecchia città, e tutto questo non per fare una ricostruzione storica, ma per assecondare una serie di ossessioni personali. Ogni film è un’autobiografia, come diceva qualcuno. E ogni pietra ha una storia da raccontare, se solo riusciamo ad osservare e ascoltare, magari lasciando a casa, solo per il tempo della passeggiata, il nostro inseparabile iphone. Osservare è un inclinazione caratteriale, senza dubbio, ma bisognerebbe anche provare ad alimentarla, alimentare la nostra curiosità e l’amore per l’amore. Ecco che le cose apparirebbero diversamente. “L’occhio non vede ciò che vede”. O ancora: “l’occhio non vede cose, ma figure di cose che significano altre cose”.
Ma, come dicevo, questo non è un film documentale, non vuole ricostruire niente, né tanto meno dimostrare o affermare altro dalla propria esistenza in quanto opera di artigianato linguistico.
Il presupposto del film è che la memoria non esiste e la storia non si può raccontare, se non per piccole schegge impazzite che non custodiscono nessuna verità, ma, come se la memoria stessa dell’uomo fosse un organismo vivente, un tutt’uno con le leggi fisiche che regolano l’universo, ogni scheggia è la rappresentazione illogica di un senso che cerchiamo disperatamente di ricostruire. Chissà perché poi...sarebbe più semplice credere in un Dio, uno qualunque.
Abbandonarsi dunque. Abbandonarsi al disordine per tentare di mettere ordine, anche se il risultato naturalmente non cambia: il disordine è il presupposto e il disordine è il risultato.
Ma questo non è neanche un film sulla prostituzione, né tanto meno sulle “questioni di genere”. Se proprio deve essere di qualcuno, questo film è degli ultimi, degli umiliati e offesi, di chi subisce la storia e non ne è mai partecipe. Di quello iato di senso nascosto sotto le cartacce che quotidianamente calpestiamo per strada, dietro gli occhi del più fastidioso dei venditori ambulanti, elemosiniere o lava vetri, e che rappresenta la nostra coscienza di borghesi annoiati e indifferenti. San Berillo è una finestra su un universo, detto senza alcun romanticismo, in cui ho trovato più umanità che nelle nostre strade affollate del centro, nei locali dei nostri aperitivi, nelle sedi di partito e nei tempi innalzati a Dio. Un umanità fatta di dolore, astio, speranze, illusioni e amori immaginari, dove la mancanza di “morale”, intendendo quella comunemente condivisa e accettata, riesce a tingere di bellezza persino un volto violentato dal tempo, dal dolore o dalle prime operazioni al silicone. Ma San Berillo non è neanche questo.
San Berillo è un luogo della fantasia; un non luogo nella realtà irrappresentabile; un cimitero di storia e cultura e il ventre da cui è generato il segno smarrito del mondo antico che risuona, tra il rombo di un motorino e l’altro, attraverso i secoli. E i suoi fantasmi ci sognano, a noi che siamo gli spettatori-attori ad occhi chiusi di un dramma in atto unico: il vuoto, l’oblio, l’incessante ripetersi del tutto che non ha mai una forma definitiva, ma vive in queste storie che tracciano, dolorose e ironiche, una continuità tra un passato idealizzato e un presente da ristrutturare.

Un caro saluto
Edoardo Morabito